
The Collage Post Image by Paweł Englender from Pixabay
The Collage Post
Pensando ad alcune importanti donne della storia, spesso mi chiedo se siano gli eventi a fare la grandezza di una donna o se la donna sia già grande di per sé e sappia per questo affrontare gli avvenimenti e il contesto storico in cui vive.
Voglio qui riferirmi in particolare alle intellettuali e scrittrici italiane che hanno vissuto la resistenza durante la seconda guerra mondiale: queste donne si sono trovate a subire una guerra e sono state coinvolte in una lotta partigiana nelle quali hanno perso persone care, provando inoltre l’amarezza di non veder riconosciuti i loro diritti in quanto donne.
La seconda guerra mondiale e gli eventi successivi hanno segnato questa generazione di scrittrici, influenzandone anche lo stile letterario, forte e crudo quanto gli orrori di cui sono state testimoni.
Queste intellettuali hanno combattuto contro il fascismo sia fisicamente sia letterariamente, identificando la figura del fascista con quella dell’uomo che, pur essendosi comportato valorosamente in battaglia, finita la guerra continua ad umiliare costantemente la donna. Un uomo ignobile, che va osteggiato.
Tra queste donne spiccano Alba De Céspedes e Natalia Ginzburg; è famoso, in particolare, lo scambio di lettere tra le due scrittrici. Sono scritti altamente poetici, che toccano le corde più profonde dell’animo femminile e mettono in luce temi di grande modernità. Per questo motivo ho deciso di pubblicarli.
L’altro giorno m’è capitato fra le mani un articolo che avevo scritto subito dopo la liberazione e ci sono rimasta un po’ male. Era piuttosto stupido: quel mio articolo parlava delle donne in genere, e diceva delle cose che si sanno, diceva che le donne non sono poi tanto peggio degli uomini e possono fare anche loro qualcosa di buono se ci si mettono, se la società le aiuta, e così via. Ma era stupido perché non mi curavo di vedere come le donne erano davvero: le donne di cui parlavo allora erano donne inventate, niente affatto simili a me o alle donne che m’è successo di incontrare nella mia vita; così come ne parlavo pareva facilissimo tirarle fuori dalla schiavitù e farne degli esseri liberi. E invece avevo tralasciato di dire una cosa molto importante: che le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne.
Le donne spesso si vergognano d’avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante (…) M’è successo di scoprire proprio nelle donne più energiche e sprezzanti qualcosa che mi indiceva a commiserarle e che capivo molto bene perché ho anch’io la stessa sofferenza da tanti anni e soltanto da poco tempo ho capito che proviene dal fatto che sono una donna e che mi sarà difficile liberarmene mai.
Ho conosciuto moltissime donne, donne tranquille e donne non tranquille, ma nel pozzo ci cascano anche le donne tranquille: tutte cascano nel pozzo ogni tanto. Ho conosciuto donne che si trovano molto brutte e donne che si trovano molto belle, donne che riescono a girare i paesi e donne che non ci riescono, donne che hanno mal di testa ogni tanto e donne che non hanno mai mal di testa, donne che hanno tanti bei fazzoletti e donne che non hanno mai fazzoletti o se li hanno li perdono, donne che hanno paura d’essere troppo grasse e donne che hanno paura d’essere troppo magre, donne che zappano tutto il giorno in un campo e donne che spezzano la legna sul ginocchio e accendono il fuoco e fanno la polenta e cullano il bambino e lo allattano e donne che s’annoiano a morte e frequentano corsi di storia delle religioni e donne che s’annoiano a morte e portano il cane a passeggio e donne che s’annoiano a morte e tormentano chi hanno sottomano, e donne che escono il mattino con le mani viola dal freddo e una sciarpetta intorno al collo e donne che escono al mattino muovendo il sedere e specchiandosi nelle vetrine e donne che hanno perso l’impiego e si siedono a mangiare un panino su una panchina del giardino della stazione e donne che sono state piantate da un uomo e si siedono su una panchina del giardino della stazione e s’incipriano un po’ la faccia.
Ho conosciuto moltissime donne, e adesso sono certa di trovare in loro dopo un poco qualcosa che è degno di commiserazione, un guaio tenuto più o meno segreto, più o meno grosso: la tendenza a cascare nel pozzo e trovarci una possibilità di sofferenza sconfinata che gli uomini non conoscono forse perché sono più forti di salute o più in gamba a dimenticare se stessi e a identificarsi con lavoro che fanno, più sicuri di sé e più padroni del proprio corpo e della propria vita e più liberi. Le donne incominciano nell’adolescenza a soffrire e a piangere in segreto nelle loro stanze, piangono per via del loro naso o della loro bocca o di qualche parte del loro corpo che trovano che non va bene , o piangono perché pensano che nessuno le amerà mai o piangono perché hanno paura di essere stupide o perché hanno pochi vestiti; queste sono le ragioni che danno a loro stesse ma sono in fondo solo dei pretesti e in verità piangono perché sono cascate nel pozzo e capiscono che ci cascheranno spesso nella loro vita e questo renderà loro difficile combinare qualcosa di serio.
Le donne pensano molto a loro stesse e ci pensano in modo doloroso e febbrile che è sconosciuto a un uomo. Le donne hanno dei figli, e quando hanno il primo bambino comincia in loro una specie di tristezza che è fatta di fatica e di paura e c’è sempre anche nelle donne più sane e tranquille. E’ la paura che il bambino si ammali o è la paura di non avere denaro abbastanza per comprare tutto quello che serve al bambino, o è la paura d’avere il latte troppo grasso o d’avere il latte troppo liquido, è il senso di non poter più girare tanto i paesi se prima si faceva o è il senso di non potersi più occupare di politica o è il senso di non poter più scrivere o di non poter più dipingere come prima o di non poter più fare delle ascensioni in montagna per via del bambino, è il senso di non poter disporre della propria vita , è l’affanno di doversi difendere dalla malattia e dalla morte perché la salute e la vita della donna è necessaria al suo bambino.(…) Le donne sono una stirpe disgraziata e infelice con tanti secoli di schiavitu sulle spalle e quello che dovono fare è difendersi dalla loro malsana abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto, perchè un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di se stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero. così devo imparare a fare anch’io per la prima perchè se no certo non potrò combinare niente di serio e il mondo non andrà mai avanti bene finchè sarà così popolato d’una schiera di esseri non liberi. Natalia Ginzburg
Mia carissima,
voglio scriverti due parole appena finito di leggere il tuo articolo. E così bello e sincero che ogni donna, specchiandosi in esso, sente i brividi gelati nella schiena. Tuttavia, per un momento, avevo pensato di non pubblicarlo, temendo di commettere un’indiscrezione verso le donne nel rivelare questo loro segreto. Inoltre pensavo che gli uomini lo avrebbero letto distrattamente, 0 con la loro vena di ironia, senza intuire l’accorata disperazione e il disperato vigore che è nelle tue parole, e avrebbero avuto una ragione di più per non capire le donne e spingerle ancora più spesso nel pozzo. Ma poi ho pensato che gli uomini dovrebbero infine tentare di capire tutti i problemi delle donne; come noi, da secoli, siamo sempre disposte a tentare di capire i loro. Ti dirò che nel pubblicare il tuo «discorso» ho dovuto vincere un senso istintivo di pudore: lo stesso, certo, che tu avrai dovuto vincere nello scriverlo. Poiché anch’io, come te e come tutte le donne, ho grande e antica pratica di pozzi: mi accade spesso di cadervi e vi cado proprio di schianto, appunto perché tutti credono che io sia una donna forte e io stessa, quando sono fuori del pozzo, lo credo. Figurati, dunque, se non ho apprezzato ogni parola del tuo scritto.
Ma— al contrario di te — io credo che questi pozzi siano la nostra forza. Poiché ogni volta che cadiamo nel pozzo noi scendiamo alle più profonde radici del nostro essere umano, e nel riaffiorare portiamo in noi esperienze tali che ci permettono di comprendere tutto quello che gli uomini — i quali non cadono mai nel pozzo — non comprenderanno mai. E questo il difetto degli uomini, a parer mio: quello di non abbandonarsi mai totalmente, mai lasciarsi cadere nel pozzo. Sicché a volte io penso con affettuosa compassione che essi non abbiano pozzi in cui cadere e quindi non possano mai venire a contatto immediato con la debolezza, i sogni, le malinconie, le aspirazioni, e insomma tutti quei senti- menti che formano e migliorano l’animo umano e che — sebbene inconsapevolmente e per un succedersi di ignorati tranelli — pesano anche sulla vita dell’uomo più conforme al modello virile. Nel pozzo sono pure tutte le dolorose e sublimi verità dell’amore, sono anzi nel fondo più profondo di ogni pozzo, ma le donne, tutte le donne delle quali tu parli, vi crollano dentro così pesantemente da riuscire a toccarle. E noi siamo spesso infelici in amore appunto perché vorremmo trovare un uomo che anche lui cadesse qualche volta nel pozzo e, tornando su, sapesse quello che noi sappiamo. Questo è impossibile, vero, cara Natalia?, e perciò è impossibile per noi veramente essere felici in amore. Ma quando si cade nel pozzo si sa anche che essere felici non è poi molto importante: è importante sapere tutto quello che si sa quando si viene su dal pozzo.
Del resto — tu non lo dici, ma certo lo pensi — sono sempre gli uomini a spingerci nel pozzo; magari senza volerlo. Ti è mai accaduto di cadere nel pozzo a causa di una donna? Escludi naturalmente le donne che potrebbero farci soffrire a causa di un uomo, e vedrai che, se vuoi essere sincera, devi rispondere di no. Le donne possono farci cadere nell’ira, nella cattiveria, nell’invidia, ma non potranno mai farci cadere nel pozzo. Anzi, poiché qua rido siamo nel pozzo noi accogliamo tutta la sofferenza umana, che è fatta, prevalentemente, dalla sofferenza delle donne, siamo benevole con loro, comprensive, affettuose. Ogni donna è pronta ad accogliere e consolare un’altra donna che è caduta nel pozzo: anche se è una nemica. Poiché è appunto a prezzo di questa pietosa comprensione del dolore umano che noi a poco a poco ci risolleviamo e riusciamo a venir fuori dal pozzo. Sì, devi ammetterlo, sono proprio gli uomini a spingerci nel pozzo. I figli pure sono uomini, e i fratelli, i padri; ed essi tutti con le loro parole, e più ancora con loro silenzi, ci incoraggiano a cadere nel pozzo “smemorante” ove loro non possono raggiungerci e noi possiamo esser sole con noi stesse.
Vedi, cara Natalia, proprio a proposito di questi pozzi io ho tanto insistito perché, in questo stesso numero della rivista, Maria Bassino, uno dei maggiori penalisti italiani, difendesse il diritto delle donne ad essere magistrati. Perché spesso è proprio nel fondo del pozzo che le donne uccidono, rubano, compiono insomma tutti quei gesti che le umiliano, soprattutto, perché sono contrari al naturale rispetto che ogni donna deve a se stessa. E gli uomini non solo ignorano l’esistenza di questi pozzi, e tutto ciò che s’impara quando si cade in essi, ma ignorano anche d’esser proprio loro a spingervi le donne con tanta spietata innocenza. Anche i magistrati ignorano tutto ciò, perché i magistrati – appunto – sono uomini. E non è questo che le donne siano giudicate soltanto da chi non conosce come esse sono veramente, e perché agiscono in un modo piuttosto che in un altro, mentre gli uomini sono sempre giudicati da coloro che, per essere della loro stessa natura, sono i più adatti ad intenderli.
Gli uomini e le donne, tu dici, non sono fatti alla stessa guisa. Ma quale dei due è fatto meglio? Chi scende nel pozzo – ad esempio – conosce la pietà. E come si può vivere, agire, governare con giustizia senza conoscere la pietà? Inoltre il mondo è popolato almeno per metà di donne. E non è giusto che almeno la metà degli esseri che abitano il mondo viva in stato di soggezione per l’incomprensione dell’altra metà; che è appunto la metà che agisce, decide e governa. Tu dici che le donne non sono esseri liberi: e io credo invece che debbano soltanto acquisire la consapevolezza delle virtù di quel pozzo e diffondere la luce delle esperienze fatte al fondo di esso, le quali costituiscono il fondamento di quella solidarietà, oggi segreta e istintiva, domani consapevole e palese, che si forma fra donne anche sconosciute l’una dall’altra. Del resto essere liberi dal dolore, dalla miseria umana, è veramente un privilegio? La superiorità della donna è proprio nella possibilità di finire su una panchina, come tu dici, in un giardino pubblico, anche se è ricca, anche se scrive o dipinge, anche se ha occhi belli, gambe belle, bocca bellissima. Anche se ha vent’anni. Perché neppure la gioventù dà alla donna la sicurezza che tanto spesso possiedono gli uomini, e che è solo ignoranza della reale condizione umana.
Scusa, mia cara, questa lunga lettera. Ma volevo dirti che, a parer mio, le donne sono esseri liberi. E tra l’altro, volontariamente accettano di essere spinte nel pozzo; delle sofferenze che esse patiscono nel pozzo vorrei parlarti a lungo, perché tutte le sofferenze sono nella vita delle donne; ma allora, per essere perfettamente oneste, dovrei anche parlarti di tutte le gioie che esse trovano in loro.
E di queste non posso parlarti oggi perché mi trovo – come spesso – nel pozzo.
Ti abbraccio, cara. Alba De Céspedes