The collage post Foto di Pete Linforth da Pixabay

Nella tradizione massonica, si sostiene che il compito dei Maestri sia quello di “diffondere la luce”, intesa come conoscenza, e di “riunire ciò che è sparso”. L’espressione “ciò che è sparso” fa riferimento all’unità originaria che è stata frammentata. Questa concezione simbolica rappresenta il transito dall’unità alla molteplicità, indicando che ogni manifestazione esistente è un riflesso di una realtà più profonda.

Tale visione trova una sua corrispondenza in un concetto della tradizione indiana, in particolare nel contesto vedico, dove il “Purusha” (essere primordiale) viene segmentato in diverse parti. Tale divisione è il fondamento dell’esistenza di tutti gli esseri che popolano la realtà attuale. La riunione di queste parti rappresenta il ritorno all’unità originaria, un tema ricorrente in molte tradizioni spirituali.

L’analisi si estende al sacrificio, concepito come un processo di divisione (morte) che precede la riunione (rinascita). Nella massoneria, l’iniziato è paragonato a una vittima: attraverso un processo di “morte” simbolica, egli ha la possibilità di rinascere in una dimensione superiore di esistenza o di conoscenza.

Un riferimento significativo è costituito dal mito di Osiride, che può essere interpretato come due modalità di espressione del processo di ricostruzione e riunificazione delle membra disperse, simbolicamente rappresentanti le parti dell’essere umano o dell’universo. Pur nelle loro apparenti differenze, tali narrazioni comunicano un medesimo significato profondo, quello della ricerca dell’unità.

Si evoca inoltre la Cabala, una tradizione mistica ebraica, in cui il vero nome di un’entità è considerato essenziale per la comprensione della sua essenza. La ricostruzione di parole e nomi attraverso le lettere è vista come un metodo per ritornare all’unità e per cogliere la natura profonda dell’universo.

I simboli, i miti e i rituali, sia nella tradizione massonica che in altre correnti spirituali, simboleggiano un processo di separazione e riunione, enfatizzando l’importanza della conoscenza e del recupero dell’unità originaria da cui tutto è scaturito.

Il pavimento a mosaico rappresenta un simbolo massonico costituito da piastrelle bianche e nere, disposto in una configurazione simile a una scacchiera. Questa formazione simboleggia vari concetti, tra cui l’idea di opposizione e complementarità, richiamando alla mente il concetto orientale di Yin e Yang, dove i due principi si integrano in un’unità profonda.

Le piastrelle bianche simboleggiano la luce, mentre quelle nere rappresentano le tenebre. Tale dualità non deve essere interpretata come un semplice contrasto; bensì costituisce un richiamo a una realtà più complessa, in cui luce e ombra si rivelano necessarie l’una all’altra e originano da una fonte comune.

Tuttavia, alcuni critici obiettano riguardo all’interpretazione del pavimento a mosaico come simbolo di manicheismo, inteso come una visione del mondo risultante da un’ineluttabile divisione tra bene e male. Coloro che avanzano tali argomentazioni frequentemente non comprendono il vero significato del simbolo massonico e cercano di adattarlo alle proprie ideologie.

Oltre a rappresentare opposizioni e unità, il pavimento a mosaico invita il massone a riconoscere anche significati più profondi, di natura metafisica, in cui l’interazione tra il bianco e il nero riflette un ordine superiore. L’iniziato, pertanto, è sollecitato a considerare il pavimento a mosaico quale simbolo della realtà interconnessa dell’esistenza, sfuggendo a semplici categorizzazioni in bianco e nero. Questo approccio simbolico è universale e trova analogie in altre rappresentazioni, come quella dell’aquila bicefala, simboleggianti la dualità e l’unità in diversi contesti culturali e tradizionali.
Il simbolo massonico noto come “catena d’unione”, che circonda la Loggia, luogo di incontro dei massoni, è frequentemente soggetto a fraintendimenti e viene talvolta paragonato a una cordicella impiegata dai massoni operativi per delineare i contorni di un edificio. Sebbene vi sia un fondo di verità in tale analogia, il significato autentico del simbolo trascende tale interpretazione.

La Loggia deve essere considerata non solo come un’entità fisica, ma anche come una rappresentazione del Cosmo, concepita quale microcosmo e riflesso dell’universo stesso. In tal senso, ogni struttura, secondo la tradizione, deve conformarsi a un archetipico modello cosmico.

La cordicella, quindi, non si limita a servire quale strumento di misurazione per la progettazione di edifici, ma incarna anche un legame profondo e una sinergia tra il mondo terreno e quello celeste. Essa simboleggia un’armonia intrinseca tra l’essere umano e l’universo.

La catena d’unione, pertanto, assume un carattere di natura celeste. Essa rappresenta una cornice del Cosmo, la cui funzione consiste nel mantenere uniti i vari elementi, generando una complementarietà ordinata. I nodi, di norma dodici, alludono ai segni zodiacali, enfatizzando così il legame tra il microcosmo (ovvero la Loggia) e il macrocosmo (ossia l’universo).

Sia la catena d’unione sia la cordicella esulano dalla mera funzionalità pratica, emergendo quali simboli significativi della connessione tra l’uomo e l’universo. Questi richiamano l’idea che la Terra restituisce al Cielo ciò che ha ricevuto, invitando a considerare tutta la creazione come un’armonia orchestrata.

Pertanto, ci si deve soffermare su un’analisi simbolica di taluni nodi presenti nelle opere di Albrecht Dürer, nonché sul loro confronto con figure analoghe a quelle attribuite a Leonardo da Vinci. Tali nodi possono essere descritti come forme complesse generate da linee continue disposte in modo circolare e frequentemente recanti il nome di Dürer al centro. Tali figure sono state correlate a simboli adottati in accademie esoteriche e corporazioni di costruttori medievali, suggerendo che potessero rappresentare connessioni tra membri di organizzazioni iniziatiche.
Si discute di come i nodi e i labirinti medievali fungessero da simboli di legami invisibili all’interno delle comunità, richiamando alla mente la “catena di unione” tipica della massoneria. Tali forme, caratterizzate dall’assenza di interruzioni nel loro tracciato, consentono di intraprendere un percorso continuo. Il labirinto, pertanto, rappresenta un viaggio emblematico verso il “centro”, inteso come un luogo di realizzazione e completezza, nel quale l’individuo ha modo di riconoscere il proprio scopo.

In aggiunta, il testo evidenzia come i tracciati delle abitazioni dell’antica Grecia potessero assolvere a una funzione protettiva, sia nei confronti di influenze nocive, sia nel preservare quanto custodito all’interno. I simboli e i segni decorativi, ritenuti magici in epoche antiche, svolgevano un ruolo essenziale nel mantenimento dell’integrità e dell’ordine degli spazi, in una maniera analoga a quella delle cornici che circondano pitture o sculture.

Nel contesto storico, la netta distinzione tra sacro e profano si rivelava non sempre evidente, suggerendo che ogni costruzione, incluse le abitazioni, potesse essere vista come una rappresentazione del cosmo stesso, un microcosmo in cui ogni dettaglio assumeva un significato preciso. Pertanto, le linee continue e i labirinti non si limitano a rappresentare connessioni e legami, ma si configurano anche come un cammino di crescita e scoperta verso la propria essenza e il proprio posto nell’universo.

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