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Le manifestazioni a sostegno della Palestina si pongono come fondamentali per la salvaguardia dei diritti umani di un popolo dilaniato dalle devastazioni provocate dai bombardamenti israeliani. Tuttavia, mi permetto di sollevare una questione di non poco conto: perché coloro che legittimamente scendono in piazza per queste nobili cause non estendono il medesimo fervore anche alla difesa dei diritti del popolo armeno? Questa apparente disparità di attenzione merita una riflessione profonda.
In questo articolo, intendo sensibilizzare l’opinione pubblica sull’urgente necessità di riconoscere e tutelare la situazione del popolo armeno, le cui sofferenze storiche e contemporanee non possono essere trascurate. È essenziale che il nostro discorso si apra a una comprensione più ampia delle ingiustizie globali, iniziando con una disamina delle origini di questa antica comunità.
Il popolo armeno, una delle più antiche civiltà del mondo, ha subito, nel corso dei secoli, una serie innumerevole di persecuzioni e violenze. Dalla creazione della loro prima nazione nel 301 d.C., in questo territorio che oggi conosciamo come Armenia, passando per il drammatico genocidio del 1915, fino alle recenti tensioni nella regione del Nagorno-Karabakh, la storia armena è segnata da un continuo e lacerante combattimento per la propria esistenza e dignità. È quindi nostro dovere non solo conoscerne le radici, ma anche impegnarci attivamente per il riconoscimento dei diritti di un popolo che, in virtù della sua indomita resistenza, merita la nostra attenzione e il nostro supporto.
Storia degli armeni
Una parte fondamentale della mitologia armena è rappresentata dall’incagliamento dell’arca di Noè sul Monte Ararat, un evento che costituisce la base della loro identità culturale. Il primo stato noto con il nome di Armenia risale al VI secolo a.C., periodo in cui il suo territorio si estendeva dal Caucaso settentrionale, comprendendo aree che oggi appartengono alla Turchia, al Libano e all’Iran. Nel 301 d.C., l’Armenia si distingue come il primo stato al mondo ad adottare il cristianesimo come religione di Stato grazie a San Gregorio l’Illuminatore. Questo ha segnato l’identità culturale e religiosa del popolo armeno.
Durante i secoli successivi, l’Armenia è stata contesa tra l’Impero Bizantino e quello dei Sasanidi, sperimentando periodi di autonomia e dominazione straniera.
Nell’XI secolo, gli armeni fondarono il Regno d’Armenia, più tardi conosciuto come Regno di Cilicia, che raggiunse il suo apogeo sotto il re Levon I nel XIII secolo. Questo regno fornì un rifugio ai cristiani in una regione dominata da potenze musulmane.
Nel XIV secolo, l’Armenia si trovò sotto il controllo di vari gruppi turcomanni e venne nuovamente conquistata dai Persiani nel XVI secolo. Durante questo periodo, l’identità armena continuò a resistere nonostante le pressioni esterne.
Con il declino dell’Impero Ottomano e l’espansione dell’Impero Russo, molti armeni dell’Armenia orientale si trovarono sotto il controllo russo, mentre gli armeni dell’Anatolia rimasero sotto gli Ottomani. Durante questo periodo, il nazionalismo armeno iniziò a crescere.
Durante la Prima Guerra Mondiale, in un contesto di conflitto e agitazione nazionale, il governo ottomano attuò una serie di deportazioni e massacri contro la popolazione armena, che culminarono nel genocidio armeno. Si stima che circa 1,5 milioni di armeni siano stati uccisi o costretti all’esilio.
La storia dell’Armenia è caratterizzata da una lotta costante per la sopravvivenza culturale e nazionale, con il genocidio del 1915 che rappresenta un tragico punto di svolta nella sua lunga e difficile storia.
Il genocidio armeno del 1915
Il genocidio armeno del 1915 è un evento tragico della storia che ha avuto luogo durante la Prima Guerra Mondiale, quando l’Impero Ottomano, in declino e in preda a tensioni nazionalistiche, ha attuato una serie di pogrom e deportazioni contro la sua popolazione armena. Le radici del genocidio possono essere comprese in un contesto storico, politico e sociale complesso.
Gli armeni erano una delle popolazioni cristiane più antiche e avevano una storia millenaria nella regione, in particolare nell’area dell’Anatolia. Durante il XIX secolo, con l’imperialismo europeo e le guerre balcaniche, l’Impero Ottomano si trovò in una situazione di crescente instabilità e pressione politica, sia interna che esterna. Questo contribuì a un aumento delle tensioni tra le diverse etnie e religioni all’interno dell’Impero.
Nel contesto del crescente nazionalismo turco, i giovani turchi, un movimento che ha preso il potere nel 1908, temevano una possibile alleanza tra gli armeni e le potenze europee, soprattutto durante la guerra. Questo sentimento di insicurezza e la paura di una rivolta armena portarono a misure drastiche da parte del governo ottomano.
Con l’entrata dell’Impero Ottomano nella guerra al fianco delle Potenze Centrali, il governo ottomano decise che la popolazione armena rappresentava una minaccia. Nel 1915, avvenne una campagna sistematica di deportazioni e sterminio.
A partire dal 24 aprile 1915, con l’arresto di intellettuali e leader armeni, il governo ottomano diede inizio a una serie di operazioni che portarono alla morte di circa 1,5 milioni di armeni. Le deportazioni forzate verso il deserto della Siria, accompagnate da violenze, omicidi, e privazioni, furono diffuse e sistematiche.
Negli anni successivi al genocidio, la negazione da parte della Turchia moderna ha ostacolato il riconoscimento ufficiale del genocidio da parte di diverse nazioni e organismi internazionali. Tuttavia, molti paesi e storici oggi riconoscono questi eventi come genocidio.
In sintesi, il genocidio armeno è il risultato di una combinazione di fattori storici, politici e sociali all’interno di un contesto di crisi per l’Impero Ottomano, culminato in atti sistematici di violenza e sterminio contro la popolazione armena.
L’Armenia oggi
Il conflitto del 2020 tra Armenia e Azerbaigian è stato un rinnovato scontro armato per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, un’area montuosa a maggioranza armena all’interno del territorio azero. Questa regione aveva già visto un conflitto significativo tra i due paesi negli anni ’80 e ’90, portando a una guerra aperta tra il 1988 e il 1994, che si concluse con una sostanziale vittoria armena e la creazione di una repubblica non riconosciuta di Nagorno-Karabakh.
Il Nagorno-Karabakh è stato al centro delle tensioni tra Armenia e Azerbaigian per decenni. Nonostante sia situato all’interno dell’Azerbaigian, è abitato principalmente da armeni.
I sentimenti nazionalisti e le questioni storiche hanno alimentato le rivalità tra i due gruppi etnici armeno e azero, complicando ulteriormente il dialogo.
Il contesto politico interno di entrambi i paesi ha influito sul conflitto. In Azerbaigian, il governo ha cercato di rafforzare la sua legittimità attraverso una retorica nazionalista, mentre in Armenia, la situazione politica instabile ha contribuito a un aumento delle tensioni.
Il conflitto è esploso il 27 settembre 2020, quando l’Azerbaigian ha lanciato un’ operazione militare per riprendere il controllo del Nagorno-Karabakh e dei territori circostanti, precedentemente controllati dagli armeni. Le ostilità sono state accompagnate da bombardamenti pesanti e attacchi aerei. Entrambi i lati hanno subito pesanti perdite.
L’Azerbaigian ha beneficiato di un forte supporto militare dalla Turchia e ha utilizzato tecnologie moderne, come i droni, che hanno avuto un impatto significativo sui combattimenti.
A differenza della guerra degli anni ’90, il conflitto del 2020 è stato relativamente breve, durando circa sei settimane.
Il 10 novembre 2020, è stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco, mediato dalla Russia, che ha portato all’adozione di un nuovo status quo. L’Azerbaigian ha riconquistato gran parte dei territori che aveva perso nei conflitti precedenti, mentre la Russia ha inviato forze di pace nella regione.
L’accordo ha portato a un cambiamento significativo nei confini territoriali, con l’Azerbaigian che ha riottenuto territori strategici.
Anche dopo il cessate il fuoco, le tensioni tra Armenia e Azerbaigian rimangono elevate, con scontri sporadici e un clima di diffidenza persistente.
Il conflitto ha causato la fuga di migliaia di profughi e ha accentuato le difficoltà economiche e sociali in entrambe le nazioni.
La Russia ha riaffermato il suo ruolo di mediatore nella regione, mentre la Turchia ha consolidato la sua alleanza con l’Azerbaigian.
Il conflitto del 2020 ha rappresentato una nuova fase di una lunga storia di tensioni etniche e territoriali. La situazione rimane complessa e instabile, con il futuro della regione del Nagorno-Karabakh ancora incerto.