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Nella scuola pitagorica vigeva la massima che ogni cosa doveva essere distinta in tre categorie. Tutto si conclude con il numero ternario, il quale è inerente a tutte le cose. Il numero tre è un numero perfetto.

Il concetto di perfezione si identifica etimologicamente col concetto di compiutezza, di compimento, di fine e di terminale. Il legame tra perfetto e finito e quello corrispondente tra i loro opposti: imperfetto e infinito sono un legame e una opposizione caratteristici della filosofia pitagorica; ma preesistono nella lingua e nel pensiero greco; e la voce tre compare in greco e in latino in voci che si riferiscono al termine delle fosse, quindi alla loro perfezione. Col passaggio fonetico facile e frequente della r nella l e viceversa, il latino tre corrisponde al greco τελ che compare nelle tre voci greche: τέλος, fine, morte; τελετή, consacrazione nei misteri, voci di cui il pitagorico Plutarco già aveva riconosciuto ed esplicitamente rilevato la mutua radicale connessione sia fonetica che semantica. Così il termine τελετή ha due significati di ultimo e di perfetto che anticamente erano affini e oggi sono divenuti contrastanti. La perfezione pitagorica dei numeri si basa sempre per una ragione o per un’altra su questo concetto ed è esente da feticismi e misticismi nel senso deteriore della parola. Un residuo di questa terminologia e di questa accezione sopravvive persino nel linguaggio matematico odierno quando si parla di quadrati perfetti. Perfetto non può essere inteso che nel senso arcaico da chi si dia la pena di riflettere sul senso delle parole che adopera e la sua distinzione dall’infinito dall’imperfetto.

Il tre si dice perfetto perché è il primo che ha principio, mezzo e fine. Pitagoricamente infatti l’uno e il due non erano dei numeri: l’uno era il principio, e il due o il paio era il principio del numero pari e quindi il primo numero è il tre. La numerazione parlata greca è una numerazione decimale. Il linguaggio dispone di nove voci ben distinte tra loro per designare i primi nove numeri, i quali perciò costituiscono ed esauriscono un gruppo, il gruppo o ordine delle unità; il decimo numero, espresso anch’esso da una voce distinta, appartiene a un nuovo gruppo di numeri: gruppo delle unità del secondo ordine. La decina di decine costituisce un altro blocco: le centinaia.

Le lingue della famiglia linguistica indoeuropea, almeno nella loro forma arcaica, presentano tutte declinazione e coniugazione a base ternaria. Nella declinazione greca si distinguono tre generi, ossia il maschile, il femminile e il neutro: i tre numeri, ossia il singolare, il duale e il plurale che serve per tre o più persone e oggetti e in cui ricompare l’assimilazione del tre con la neutralità e col tutto. Nella coniugazione del verbo si distinguono tre persone, ossia la prima, la seconda e la terza persona; tre numeri, ossia il singolare, il duale e il plurale.

Il tre e il nove, la terna di terne, compaiono con molta frequenza nella magia e nelle cerimonie funebri dell’antichità. La santità del numero tre si incontra negli dei, per esempio Zeus, Atena e Apollo. Il culto degli antenati si onora specialmente sotto il nome di tritopatori o trinità dei padri: il padre, il nonno e il bisnonno. Nei rituali di purificazione erano individuati tre animali da sacrificare per tre volte.

A Roma si faceva un sacrificio al morto per nove giorni dopo la sepoltura recitando formule magiche. Occorre ricordare che la religione greca non era una religione morale o di salvezza, ma queste tematiche erano dei misteri orfici. Nell’ascesi è possibile purificare e raffinare il corpo sino a raggiungere la realizzazione fisica, è possibile trasmutare l’opacità in trasparenza e il metallo ignobile in oro, sì che la luce spirituale investa l’organismo fisico e risplenda in esso e per esso quasi senza offuscamento, come i raggi cosmici che penetrano anche attraverso spesse lastre di piombo.

Trascesa la dualità la monade non soltanto persistente ma comprende include in sé anche la distinzione superando l’alterazione e reintegrando tutto in un unico tutto, ancora e nuovamente perfetto. Si ottiene così la triade in cui si ha la reintegrazione, la conclusione e la comprensione del tutto. Dopo di che evidentemente non c’è altro. Riassumendo, l’esperienza dell’ascesi conduce al riconoscimento successivo della monade della diade e della triade. Possiamo anche indicarle come l’unità archetipale, l’unità polarizzata e l’unità reintegrata o, usando la parola di Campanella, la monotriade. La legge ternaria universale dei pitagorici classifica ogni cosa in triadi. Occorre precisare che questa legge ternaria universale non è una peculiarità del pitagorismo, anzi si trova alla base di tutte le tradizioni esoteriche e di quasi tutte le religioni. La legge ternaria porta a classificare i numeri naturali secondo terne. La prima terna è composta dai numeri 1, 2, 3 (detti 3k); la seconda terna è composta dai numeri 4, 5, 6 (chiamati 1,3k); la terza terna da 7, 8, 9 (chiamati 2,3k).

I pitagorici, limitandosi a quanto avviene per i numeri contenuti nella decade, li distinguevano a seconda che comparivano come fattori o come generati. Il sette godeva di speciale considerazione, perché era l’unico numero della decade che non era né generato né generante: era senza madre come la dea Minerva. I numeri si distinguono subito in numeri non composti di fattori, che sono asintetici o primi e in numeri sintetici o composti o secondi. Il tre è il primo numero e è anche il primo numero primo. Il 5 e il 7 sono pure numeri primi. Un’altra distinzione essenziale e immediata è quella dei numeri pari e dispari; i numeri pari sono sempre composti e i numeri 4, 6, 8 e 10 sono tutti numeri generati. Il numero 4 è generato e generante, mentre il 6, l’8 e il 9 sono solo generati. Il 5 è soltanto generante e il 7 è il solo che non è né generato né generante. Tra i numeri generati l’8 si può considerare come una potenza oppure come un numero promeco, ossia come rettangolare o prodotto di due fattori la cui differenza supera l’uno. Il 4 e il 9 sono pure prodotti di due fattori eguali, mentre il 6 è il solo che è prodotto di due fattori soli e di specie diverse e differenti di uno, ossia è il solo numero eteromeco entro la decade. Per questa ragione il numero 6 è il simbolo della generazione ed è sacro ad Afrodite. Esso è il prodotto della diade e della triade, è il primo prodotto di due fattori eterogenei, uno pari e l’altro dispari, ossia uno maschile e uno femminile. Il cinque sarebbe il risultato o frutto dell’azione spirituale del tre sopra la base del triangolo, cioè il quattro con una interpretazione del teorema di Pitagora dove il cateto verticale tre simboleggia il maschio e quello orizzontale quattro simboleggia la femmina. Minerva e il numero sette hanno la doppia prerogativa della verginità e dell’Immacolata concezione. Da qui il culto cristiano della vergine Maria.

L’aritmetica non è né intuitiva né razionale, essa è semplicemente aritmetica. Ma si capisce che non è ammissibile che il risultato raggiunto con l’intuizione sia in contrasto col risultato raggiunto con la logica: se questo accadesse vorrebbe dire che si è commesso un errore, se tra i due risultati vi è differenza senza esservi opposizione vuol dire che uno almeno dei risultati è parziale.

L’aritmetica ha bisogno soltanto della nozione dell’ordine nella successione dei numeri naturali. Questa successione è essenzialmente discontinua, discreta e intrinsecamente ordinata. La caratteristica dell’aritmetica pitagorica sta che i numeri pitagorici vengono concepiti e raffigurati secondo una forma geometrica. Occorrono due elementi per determinare un numero pitagorico: la sua forma e il suo valore numerico; oppure la sua forma e il numero d’ordine che esso occupa tra i numeri di quella forma e il numero d’ordine che esso occupa tra i numeri di quella forma a partire dall’unità, che è sempre il primo numero e ha potenzialmente forma. Così i numeri per i pitagorici sono degli insiemi di più punti disposti secondo particolari posizioni e forme a distanza gli uni dagli altri. Potremo anche dire che numeri pitagorici e numeri figurati sono la stessa cosa; ma siccome oggi in matematica la denominazione di numeri figurati è riservata a certi particolari numeri e non a tutti i numeri concepiti secondo la loro raffigurazione geometrica, così per non fare confusione intenderemo per numeri pitagorici quelli che furono considerati dai pitagorici i numeri che forniscono le soluzioni intere e positive dell’equazione pitagorica. La concezione geometrica della sfera pitagorica aggiungeva personalmente la percezione dell’armonia delle sfere. Questa armonia universale aveva la sua corrispondenza e la sua segnatura nel pentalfa o pentagramma, simbolo del sodalizio pitagorico, e nel dodecaedro, simbolo dell’universo.

Il principio delle cose è il numero e può essere interpretato in tre modi: le cose hanno il numero, le cose sono numeri e le cose sono imitazioni del numero. Altri riducono a due le interpretazioni: la dottrina secondo la quale i numeri costituiscono l’essenza delle cose e la dottrina per la quale i numeri costituiscono il modello delle cose. Queste due dottrine sembrano assolutamente distinte tra loro e quindi se ne è dedotto che non potevano senza contraddizione essere sostenute entrambe dai pitagorici.

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