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Una fiaba che parla dell’autonomia dai propri genitori è la fiaba dei fratelli Grimm “La guardiana delle oche”.
La favola narra di una fanciulla che si deve recare in un paese straniero per sposare il principe. La madre diede alla fanciulla preziosi tesori tra cui un cavallo parlante di nome Falad e un fazzoletto con tre macchie di sangue. Alla fanciulla le veniva assegnata una cameriera: quest’ultima aveva il compito di accompagnare la ragazza a destinazione.
Durante il viaggio la cameriera prevale sulla fanciulla e la costringe a scambiarsi di ruolo. Le due donne arrivarono a destinazione, la serva (scambiata per la principessa) chiese al re di tagliare la testa di Falad, mentre la fanciulla veniva relegata come guardiana delle oche. La testa del cavallo veniva inchiodata sopra ad un portone, che veniva attraversato tutti i giorni dalla fanciulla per portare le oche al pascolo. Quando la fanciulla passava dal portone, salutava il cavallo, il quale rispondeva “Se lo sapesse tua madre, il suo dolore sarebbe tale da spezzarle il cuore”. Il re si accorse di quello che succedeva tra la testa del cavallo e la fanciulla. Chiese spiegazione alla fanciulla, che non rispose perché aveva giurato di non dire a nessun essere umano quello che era successo. Il re le consigliò di dirlo al focolare. Quando la ragazza lo disse al focolare, il re stava ascoltando quanto era accaduto.
Il re diede alla principessa abiti regali e diede un banchetto al quale aveva presieduto la cameriera. Alla fine del banchetto il re chiese alla cameriera che punizione avrebbe dato a una persona che si fosse comportata in un certo modo. La cameriera rispose che tale persona doveva essere messa in un barile pieno di chiodi appuntiti e trascinata per tutto il paese da dei cavalli, finché non moriva. La cameriera aveva pronunciato la sua sentenza. Dopo l’esecuzione la fanciulla sposò il giovane re.
Nonostante le privazioni la giovane fanciulla mantenne la parola data di non rivelare a nessuno quanto le era accaduto: questo dimostra la sua fermezza morale.
Questa storia mostra due aspetti opposti dello sviluppo edipico. Nel primo stadio un bambino crede che il genitore dello stesso sesso sia un usurpatore che ha illecitamente preso il suo posto nell’affetto del genitore dell’altro sesso, che in realtà preferirebbe di gran lunga avere lui come partner matrimoniale. Il bambino sospetta che il genitore dello stesso sesso, avvalendosi della propria astuzia, l’abbia defraudato di quello che dovrebbe essere il suo diritto di progenitura e spera che in virtù di un intervento supremo venga fatta giustizia ed egli diventi il partner del genitore dell’altro sesso. Questa fiaba favorisce il progresso del bambino dal primo stadio (quello edipico) a quello successivo, quando al pensiero come appagamento di desiderio subentra una visione alquanto più corretta della reale situazione durante la fase edipica.
A misura che l’intelligenza del bambino matura, egli comincia a comprendere che la sua idea di un’usurpazione del posto che gli spetterebbe da parte del genitore dello stesso sesso non rispecchia la realtà. Comincia a rendersi conto che è lui stesso a voler essere l’usurpatore e a desiderare di prendere il posto del genitore dello stesso sesso. La favola avverte che è meglio accettare il proprio posto da figlio piuttosto che cercare di prendere il posto del genitore. Il racconto dice che per quanto il genitore è potente non ha il potere di assicurare lo sviluppo del proprio figlio fino alla maturità. Per diventare se stesso il bambino deve affrontare da solo le prove della vita. Il genitore può avere molti beni terreni da dare al figlio, ma non sono utili se il figlio non sa usarli bene.
Le tre gocce di sangue rappresentano il raggiungimento della maturità sessuale.
La fanciulla parte per sposarsi e quindi deve trasformarsi da una vergine in una donna e in una moglie. Tutte le cose brutte che succedono alla ragazza dipendono da lei perché non riesce a farsi valere. Per diventare adulti occorre superare delle prove molto dure.