
THE COLLAGE POST
Attorno alla colorazione dei capelli c’è sempre stato molto interesse.
Le donne dell’antico Egitto utilizzavano l’henné per coprire i capelli bianchi, i guerrieri galli e sassoni si decoravano totalmente i capelli con colori accesi per spaventare il nemico, mentre Assiri, Babilonesi e Persiani tingevano la loro barba di nero e rosso. I vichinghi schiarivano la barba e mettevano polvere d’oro per sembrare più biondi e ricchi.
Nell’impero di Elisabetta I andava di moda il rosso. La tinta era anche sinonimo di ricchezza, perché alcuni pigmenti erano molto costosi.
Le ricette per tingersi i capelli avevano come ingredienti calce viva, zolfo, lombrichi, piombo.
Nell’Ottocento si scoprono le tinte permanenti grazie a un errore fatto da un allievo di August Wilhelm von Hofmann. Grazie a questa scoperta agli inizi del 1900 Eugène Schueller scopre la tinta permanente per i capelli bianchi. Egli fonderà la famosa casa cosmetica Pantene.
Oggi la situazione è cambiata: per tingersi i capelli si hanno due boccette che vanno mescolate e il contenuto va applicato sul capello per il tempo indicato.
Cerchiamo di capire cosa succede, partendo dalla composizione del capello, e dopo affronteremo la reazione chimica.
Il capello esternamente è ricoperto da scaglie che sono posizionate come delle tegole. Se le scaglie sono in ordine, i capelli risultano lucenti; se invece le scaglie sono in disordine, i capelli risultano spenti.
Al di sotto delle scaglie troviamo il fusto e ancora più internamente il midollo.
Qui troviamo le fibre di cheratina che costituiscono il grosso del capello e anche i pigmenti di eumelanina e feomelanina, che danno il colore caratteristico delle nostre chiome.
Per colorare i capelli abbiamo due strade: o colorare il capello dall’esterno o dall’interno.
Le tinture che colorano dall’esterno sono temporanee, mentre le tinture che colorano all’interno sono permanenti.
Le colorazioni permanenti sono provviste di due boccette. In una troviamo “il latte bianco”, chiamato perossido di idrogeno, ossia acqua ossigenata. Nella seconda troviamo il colore contenente diaminobenzene, resorcina e ammoniaca.
L’ammoniaca è una sostanza alcalina che alza di molto il pH della soluzione e permette in questo modo di aprire le scaglie che ricoprono le cuticole, che una volta aperte permettono al composto di entrare nel capello; poi viene il turno dell’acqua ossigenata, che dirige le reazioni come un direttore d’orchestra. Per prima cosa l’acqua ossigenata spezza in due la melanina. Quest’ultima ha una complessa struttura ad anelli benzenici legati assieme gli uni agli altri e romperla significa portare via il colore.
Qui incontriamo la parafenilendiamina, scoperta da Hofmann e messa a punto nelle tinture da Schuller.
L’acqua ossigenata ossida, cioè stampa elettroni agli intermediari primari e ne modifica di fatto la struttura, producendo chinoni proprio nel primo passaggio che porta alla produzione di melanina a partire dalla tirosina. Sono gli intermediari primari a fare la base del colore: le proporzioni tra loro e l’acqua ossigenata sono fondamentali per il risultato finale. Il tono viene fatto dalle cellule accoppianti. Queste ultime, sottoposte all’azione dell’acqua ossigenata, non sviluppano un gran colore, ma sentono un’irrefrenabile attrazione per gli intermediari primari con i quali decidono di accoppiarsi per formare una molecola più grossa, caratterizzata dalla presenza di molti anelli benzenici e con un colore che dipende da quale intermediario primario si è scelto, ma anche da quelli accoppiati si sono aggiunti.
Ci sono tre tipi fondamentali: quelli dal tono rosso, quelli dal tono blu e quelli dal tono giallo-verde.