
Sigmund Freud, guardando la barba di Mosè, ha iniziato le sue riflessioni sulla possibilità di studiare la psicologia degli artisti attraverso le loro opere d’arte.
Egli scrisse che il Mosè di Michelangelo non è preso dall’ira, ma è un uomo combattuto in cui coesistono due anime. Una parte è ferita e travolta dalla rabbia per il tradimento subito. L’altra parte è più razionale e pensosa, difatti la mano destra gioca nervosamente con i ricci della barba. Il profeta è consapevole del fatto che sfogarsi in quel momento significherebbe rendere vani gli sforzi fatti per compiere il progetto divino di liberare il popolo ebraico dalla schiavitù.