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Durante il Rinascimento occidentale, che va all’incirca dalla fine del XIV alla fine del XVI secolo, assistiamo al verificarsi di una commistione tra magia e scienza, legate a doppio filo all’interno del naturalismo, indirizzo filosofico predominante di quel periodo.
L’uomo e la natura, considerata un immenso organismo vivente, sono al centro degli studi; si riscoprono i testi degli antichi filosofi greci e romani.
Il mago, che spesso si identifica con lo stesso filosofo naturalista, è colui che conosce gli elementi e le forze della natura e sa sfruttare e attrarre a sé i poteri naturali per aiutare l’uomo.
La magia non è più una manifestazione demoniaca: è “magia bianca”, un mezzo di comunicazione tra l’umano e il divino che solo i maghi, dotati di poteri superiori, sanno gestire.
L’uomo occupa una posizione privilegiata tra il microcosmo (la natura), di cui fa parte, e il macrocosmo (l’universo). L’essere umano diventa l’unità di misura nello studio del mondo e dell’universo.
Fra microcosmo e macrocosmo, fra terra e cielo esiste una corrispondenza perfetta perché entrambe le dimensioni sono state create dalla stessa mente divina: l’astrologia non è quindi, come la intendiamo noi, l’arte di indovinare il futuro, ma una scienza volta a conoscere i fenomeni celesti, a studiare quel macrocosmo che si rispecchia, contratto, nel microcosmo.
Lo studio della volta celeste non è puramente astratto: ad esempio, il funzionamento degli ingranaggi di molte macchine di quel periodo prende spunto dal moto dei pianeti.
I maghi dunque interpretano la realtà alla stregua di veri scienziati, e cercano di trovare una soluzione a problemi concreti. In questa accezione, la magia non si contrappone alla religione: anzi, alcuni astrologi furono al servizio dei papi dell’epoca.
Alla magia naturalistica si contrappone la stregoneria, un insieme di pratiche rituali e simboliche basate solo su credenze e superstizioni, erede della magia nera medievale. La caccia alle streghe, fomentata dalla Chiesa che associa la stregoneria al demonio, colpirà in particolare le donne di ceto basso in una sorta di psicosi collettiva.
La Santa Inquisizione, nata per combattere le eresie, estenderà presto il proprio raggio d’azione e diventerà protagonista della lotta contro la magia nera. L’istituzione di un processo per stregoneria richiedeva una semplice denuncia accusatoria: per far intervenire gli Inquisitori bastava segnalare qualcuno per sospette pratiche magiche. Si ricorreva poi alla tortura per far confessare l’imputato.
Per essere condannati occorreva che venisse accertato il concorso di tre elementi: comportamento eretico, pratiche di magia e l’intervento del demonio.
Da alcuni verbali dell’epoca possiamo notare un cambiamento, nel tempo, della tipologia dei capi d’accusa. In un primo periodo si contestavano perlopiù pratiche di adorazione del demonio e incontri magici; successivamente si accusavano le malcapitate di recitare e scrivere formule magiche, benché la maggior parte delle imputate non sapesse leggere né scrivere. Infine vennero prese di mira donne che utilizzavano erbe mediche o rimedi naturali, nonché le ostetriche.
Spesso se l’imputata confessava e si pentiva veniva perdonata e, dopo aver subito una penitenza, veniva riabilitata: questo accadeva soprattutto in Italia, dove si riportano pochi casi di persone mandate al rogo per stregoneria, mentre nell’area protestante, come ad esempio in Germania, i roghi di streghe furono innumerevoli.