The Collage Post Foto di Sang Hyun Cho da Pixabay 

The Collage Post

Oggi vorrei parlarvi di uno dei tanti amici siciliani della nostra nazione: il giovane Giuseppe Impastato, chiamato anche Peppino.

Giuseppe Impastato aveva la personalità di un leader: era una persona carismatica e coinvolgente.

Dotato di grande intelligenza, riusciva a sovrastare gli avversari con le parole, anche grazie alla sua passione per lo studio e la lettura.

La personalità dirompente di Peppino non sfuggì a suo zio, il capomafia Cesare Manzella, il quale a parer mio lo vedeva come un possibile erede a capo di una cosca e per questo cercò di “coltivarselo” fin dalla tenera età, riservandogli molti privilegi ed esprimendo i suoi apprezzamenti verso il giovane. Ma non fece in tempo a realizzare i suoi piani perché venne ammazzato dalla cosca dei La Barbera nel 1963.

Anche il pittore attivista Stefano Venuti si accorse delle doti di Peppino e gettò in lui, come in tanti altri, il seme di nobili ideali.

Anche il padre di Peppino stimava il giovane, apprezzando in particolare il suo modo di parlare e di argomentare. Non a caso conservava gelosamente tutti gli scritti del figlio.

Peppino, al contrario di altri, conosceva bene la mafia, sapeva che ormai era entrata nella quotidianità delle persone, rendendole indifferenti e quasi anestetizzate. Tutto questo lo faceva arrabbiare, non riusciva a sopportarlo. Per questo decise di schierarsi contro di essa e la combatté tenacemente e costantemente.

L’arma usata da Peppino fu la parola, che il giovane usò per sminuire e ridicolizzare i mafiosi, che

non venivano più dipinti come vincenti ma diventavano oggetto di derisione, sviliti agli occhi della gente.

Impastato viene in genere considerato un ribelle che in vita trovò il coraggio di rompere i rapporti con i familiari mafiosi, ma in realtà la natura ribelle del suo personaggio prevalse anche nella morte, come evidenziano due precisi momenti.

Il primo è il giorno del suo funerale, in cui i parenti mafiosi non si presentano lasciando il posto a un corteo di persone che credono nella giustizia e non hanno più paura di manifestarlo. Il secondo momento si concretizza nella decisione, da parte della madre e del fratello di Peppino, di non vanificare il suo lavoro e di chiedere giustizia per lui.

Il tragico destino di Peppino secondo me era già segnato, indipendentemente dalla sua scelta di schierarsi contro la mafia. Se avesse seguito le orme dello zio, sarebbe diventato di certo un capomafia grazie alle sue doti non comuni, e sarebbe stato ucciso infine da un clan rivale o dai suoi stessi uomini per ragioni di potere.

L’unica possibilità che aveva di sopravvivere era quella di allontanarsi dalla mafia e dalla vita che la sorte sembrava avergli riservato.

Quest’articolo vuole essere un omaggio a Peppino Impastato ma anche un invito, rivolto a tutti, a raccontare la storia delle vittime di mafia.

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