The Collage Post

La colonna sonora del mondo intero in questi giorni di quarantena causata dal coronavirus è Nessun dorma.

In questo periodo molti italiani l’hanno cantata senza conoscerne, tuttavia, il vero significato.

Nessun dorma non è una “canzone” scritta da Luciano Pavarotti, come ho sentito dire in giro, ma è l’aria più celebre della Turandot, un’opera composta da Giacomo Puccini al tramonto della sua vita.

Puccini era già apprezzato in tutto il mondo come operista e aveva soddisfatto ampiamente il suo appetito di affermazione professionale.

In piena maturità egli volle offrire al mondo, ancora una volta, la sua visione intima della musica, ma l’opera rimase incompiuta: non tanto per il tumore alla gola che lo stava distruggendo fisicamente, quanto per la difficoltà di trasformare la fredda e crudele principessa Turandot in una donna dolce e amorevole.

Per quanto riguarda la struttura, la Turandot è composta da tre atti e cinque quadri.

Il primo quadro si apre con la proclamazione in piazza di un editto: chi vuole sposare la principessa Turandot, figlia dell’imperatore della Cina, deve sciogliere tre indovinelli, ma a chiunque provi e fallisca sarà tagliata la testa.

Nella piazza è presente Timur, vecchio re dei Tartari, spodestato e ora in esilio, con la sua giovane schiava Liù. A Pechino si trova anche Calaf, il figlio del re, costretto a vagare in un paese ostile nascondendo la propria identità.

Tutti assistono alla decapitazione di un giovane che non ha saputo risolvere i tre enigmi. Il popolo implora la principessa di risparmiare la vita del malcapitato ma lei non desiste.

Calaf decide farsi avanti e di provare a risolvere i tre indovinelli, anche se tutti gli sconsigliano di tentare.

Qui finisce il primo tempo.

Il primo quadro del secondo tempo si apre con i ministri Ping, Pong e Pang che raccontano, lamentandosene, la carneficina voluta dalla principessa, che ha già messo a morte ventisei pretendenti.

Nel terzo quadro Calaf, senza svelare la propria identità, si presenta all’imperatore per sciogliere i tre enigmi. Turandot cerca di dissuadere Calaf e gli svela le ragioni della sua crudeltà: per vendicare una sua antenata violentata e uccisa da uno straniero, ha giurato di non lasciarsi mai possedere da un uomo; per questo ha inventato l’espediente degli enigmi, convinta che nessuno sarebbe mai stato in grado di risolverli. Calaf riesce invece nell’impresa e Turandot, scioccata, si arrabbia con lui. Calaf le propone allora un accordo: se entro l’alba lei riuscirà a scoprire il suo nome, lo potrà uccidere.

Inizia il terzo tempo: nel quarto quadro la principessa interroga tutto il popolo per scoprire il nome di Calaf, ed è a questo punto che lui canta l’aria Nessun dorma.

Le sue parole, rivolte al popolo, esprimono la sua certezza di vincere la sfida: nessuno sta dormendo quella notte per scoprire il nome del forestiero, ma lui è certo che nessuno riuscirà nell’impresa. Il seguito è rivolto direttamente a Turandot: Tu pure, o Principessa, nella tua fredda stanza… le dice Calaf, ovvero: “Cara principessa, fredda e senza sentimenti, indaga pure, tanto il mio mistero è chiuso in me, il nome mio nessun saprà!”.

Calaf non vede l’ora di avere la principessa tutta per sé, difatti spera che la notte finisca in fretta: Dilegua, o notte! Tramontate, stelle! Tramontate, stelle! All’alba vincerò!

Ma Turandot intanto tortura la povera schiava Liù per sapere il nome del forestiero. Liù, per porre fine alla tortura, infine si suicida.

Calaf bacia Turandot e tra i due nasce l’amore, lui le confessa finalmente il suo nome.

La quinta scena si apre con il sorgere del sole, Turandot ha nelle sue mani la vita del giovane e dichiara che il nome del forestiero è “Amore”. I due rimangono insieme.

Vi consiglio di andare a teatro a vedere la Turandot perché le arie di quest’opera sono così emozionanti che fanno sognare.

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